Un collezionista di isole
Sono un collezionista di isole. Le raccolgo singolarmente o a grappoli.
È una collezione ancora limitata, ma con alcuni pezzi di pregio. C’è quella tropicale e selvaggia, popolata da due specie molto fastidiose: le mosche cavalline e gli australiani festaioli. Quella tutta dune, dalle quali spuntano ogni tanto mulini a vento o multiproprietà fatte con lo stampino. Quella con i sentieri a picco sul mare percorsi da muli, e il paese in cui ti perdi perché ogni casa è bianca e blu.
Ma le isole sono tante. E più ti accosti per raccoglierle, più ne trovi: vai su una e ne scopri di fronte un’altra, satellite, che inizi a fissare come la Luna.
Difatti il peggior nemico di un collezionista di isole è l’Atlante. È come quando a 11 anni sfogliavi la sezione intimo del Postalmarket: hai di fronte a te un mondo nuovo, pieno di fascino e di rischi, e ti sembra così… a portata di mano.
Guardando la mappa dell’Italia, è difficile resistere a quell’isolone rettangolare, così grande ma così distante da essere senza dubbio “isola”, come capisci anche dalla loro strana parlata.
Arrivato in Sardegna, però, scopri in basso a sinistra qualcosa che sembra un’altra isola. Un’isola collegata da un istmo artificiale: come posso non aggiungerla alla collezione? Vado allora a Sant’Antioco.
Zoomando la mappa ne vedi un’altra, più piccola e staccata. Talmente isola che si parla una lingua ancora più particolare, il genovese tabarchino. Ed ecco che sbarco a Carloforte, sull’isola di San Pietro.
L’altro giorno, camminando verso la punta nord, avviene l’inevitabile: vedo un altro lembo di terra emersa, poco più grande del residence che ospita.
Questa triste scoperta se ne porta dietro altre due. La prima è che non ci si arriva con un collegamento di linea diretto. La seconda, ben peggiore, è che anche quell’isolotto ha un satellite, ancora più piccolo e ancora più inaccessibile. Si chiama Isola dei Ratti, e questa storia non ha un lieto fine.