Incompleti
Usciti dalla galleria, riprendo a parlare con la mia casuale vicina di sedile.
«…e insomma, faccio per presentarmi, dico il mio nome, allungo la mano e… mi accorgo che la mano non ce l’aveva! Non potevamo presentarci, non ho mai saputo come si chiamasse.»
«Incredibile» – chiosa lei opaca, continuando a fissare il finestrino.
«Sì, è stato così strano… Ma mai quanto la mia ex-fidanzata: era senza verbi.»
«Come, senza verbi?»
«Sì, lei poteva usare solo sostantivi, pronomi, aggettivi… Nominava le cose, le definiva, le elencava, ma era del tutto incapace di usare verbi. Le cose e le situazioni le poteva solo descrivere, ma mai fare qualcosa. Era diventata incapace di agire.»
«Che storia triste» – sentenzia la vicina, ancora ostinata ad ammirare il paesaggio.
«E poi c’era la ragazza senza ombelico, che aveva tagliato definitivamente i ponti con la sua famiglia. E che dire di quel tizio a cui mancava un centimetro di caviglia?»
«E allora?»
«Non riusciva a raggiungere nessun obiettivo. Puntava a qualcosa, ma iniziava poi lentamente a deviare, passo dopo passo, e finiva, senza accorgersene, a camminare in tondo e tornare al punto di partenza.»
«Ah…»
«Beh, ho conosciuto anche persone senza viso, imperscrutabili. E senza braccia, inabbracciabili.»
«Mh.» – conclude lei, forse un po’ seccata.
Poi ha un improvviso guizzo di vitalità quando aggiunge:
«Scendi a questa?»
«No, la prossima.»
«Io scendo qui…»
E finalmente si gira verso di me.
Rimango senza parole vedendo il suo mezzo viso con un occhio solo, una sola narice, mezza bocca su mezzo collo, e poi un braccio, mezza vita, e una gamba.
«…vado dalla mia dolce metà.»
Annuisco nervosamente, e la faccio passare mentre saltella verso l’uscita.
Rimasto solo nello scompartimento, quasi mi pento di averle mentito. Non è vero che scendo alla prossima fermata: sono senza meta. A dirla tutta, non so nemmeno se le ho mai parlato, perché sono senza me.